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Torquato Tasso (1544 - 1595)
Canto l'arme pietose e 'l capitano che 'l gran sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, molto soffrí nel glorioso acquisto; e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi segni ridusse i suoi compagni erranti.
O Musa, tu che di caduchi allori non circondi la fronte in Elicona, ma su nel cielo infra i beati cori hai di stelle immortali aurea corona, tu spira al petto mio celesti ardori, tu rischiara il mio canto, e tu perdona s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte d'altri diletti, che de' tuoi, le carte.
Sai che là corre il mondo ove piú versi di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, e che 'l vero, condito in molli versi, i piú schivi allettando ha persuaso. Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l'inganno suo vita riceve.
Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli al furor di fortuna e guidi in porto me peregrino errante, e fra gli scogli e fra l'onde agitato e quasi absorto, queste mie carte in lieta fronte accogli, che quasi in voto a te sacrate i' porto. Forse un dí fia che la presaga penna osi scriver di te quel ch'or n'accenna.
È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace il buon popol di Cristo unqua si veda, e con navi e cavalli al fero Trace cerchi ritòr la grande ingiusta preda, ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace, l'alto imperio de' mari a te conceda. Emulo di Goffredo, i nostri carmi intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi.
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